Benvenuti da Filippo

La conquista del Monte Marzo

Oggi, giovedì 13 settembre 2012, alle ore 15:30 circa, guadagnavo la cima del Monte Marzo. Montagna emblematica, alla convergenza di tre valli (della Legna in Val d’Aosta, Valchiusella e Val Soana in Piemonte), piramidale e liscia come una tavola da un lato, mentre più abbordabile alle spalle, era da un po’ nel mio progetto “Vette Locali” (che annoveravano, tutte raggiunte tranquillamente, il Mombarone, il Monte Gregorio, il Mucrone, il Camino e la Punta Quinzeina).

Tre volte avevo tentato invano di arrivare in cima al Monte Marzo. La prima, dalla via più classica, quella valdostana, ad Outre l’Eve. Arrivato al colle in tardissimo pomeriggio data una partenza comodissima, con legambe spezzate avevo desistito, non trovando peraltro una via di salita alla cima che fosse segnalata.

La seconda, da Fondo in Valchiusella. Poco più corta della valdostana, ma comunque molto lunga, per mancanza di indicazioni mi aveva portato alla Bocchetta delle Oche, una sella su un fianco della montagna, dalla quale avevo tentato invano di avventurarmi verso la cima – troppo ripido!

La terza, quest’anno, da Piamprato in Val Soana. Sentieri ancora carenti di indicazioni, per fortuna incontrai un altro escursionista esperto che mi fornì ottime dritte. Superati incontri con cani e margari, guadagnai l’accesso al Lago Morto dal quale la via per la cima è segnalata… Salvo perdersi, quel giorno, in un nevaio. Desistetti ancora, ma fu allora che acquistai all’ATL la cartina dei sentieri.

La quarta volta, oggi, con tutto l’equipaggiamento del caso, una delle ultime della stagione; vedo il tempo bello (si annuncia giornata ventosa), ora o mai più. Decido di ripercorrere la strada della prima volta. Alle 9:00 lascio l’auto al bivio per Outre l’Eve in Val di Champorcher, inizio la lunga percorrenza della valle della Legna. Il tempo non è bello, ci sono 14-15 gradi, arrivato ai pascoli della Valle della Legna cambio gli abiti estivi per quelli autunnali: pantaloni lunghi, maglia, maglione, K-Way. E fa freddo, sicchè aggiungo paraorecchi e sciarpa. Ci stanno tutti!

La Valle della Legna in sè è molto bella, si apre all’improvviso con scorci quasi Tolkeniani. Ampi pascoli, legna, brughiera, una corona di montagne in lontananza, catene impenetrabili ai lati, e nessun essere umano in vista! Ripercorro il sentiero fatto la prima volta quasi d’istinto. Quando la strada lascia i pascoli per cominciare a salire, mi viene qualche dubbio. Consulto la mappa (molto approssimativa) un paio di volte, i dubbi aumentano finchè… Eccomi al colle raggiunto la volta scorsa, quando sono le ore 12:40. Le paure sono confermate in pieno: non si tratta del Colle degli Orti, quello che fiancheggia il Monte Marzo. Nemmeno di quello dei Corni, un po’ più in là. E’ il fottuto colle Fricolla, ben lontano dal Monte Marzo! Ancora una volta, è il sentiero sbagliato!!!

Dall’inizio del percorso, non ho in effetti visto nemmeno una paletta indicante il Monte Marzo. Sol numeri di sentieri, o altre destinazioni. In pianura dovevo tenermi sulla destra del fiume per poi andare ai Laghi Gelati… Invece son stato sulla sinistra e son finito al Fricolla, con immancabile lingua felpata! Fustrato e col morale un po’ basso, decido di pranzare, anche se tira un’aria gelida. Del Colle Fricolla sinceramente non me ne frega un benemerito… E penso alla prima volta, che pensavo di essere arrivato al Monte Marzo… Palle! E’ dalla parte opposta della vallata.

Consulto la carta: potrei arrivarci scavallando in Vachiusella (la strada oltre il colle), scendendo parecchio, per poi risalire dalla via Valchiusellina… No, scartato; perderei troppo di quota, poi chi le ha legambe per risalire (ricordo che l’escursione che volevo fare da Outre l’Eve al Monte Marzo ha sulla carta già più di 1500 metri di dislivello). Guardo la mappa, mi guardo intorno, prende forma un’idea malsana che accetto chiamandola “esplorazione”.

Tra me ed il monte Marzo ci sono almeno due cime. Se fosse però possibile fare un traverso fino a dove dovrebbe trovarsi l’altro sentiero? Intorno il paesaggio è sfasciume, la pendenza non sembra eccessiva. Si può dare un’occhiata. Ed è così che sfaciume dopo sfasciume (qualcuno anche parecchio traballante) arrivo ad una cresta che mi sbarra il cammino. Arrampico un paio di metri per vedere com’è dall’altra parte: aguzzissima! Vedo però i Laghi Gelati! Ce la posso fare, devo però scendere abbastanza di quota. Per farla breve ce la faccio, superata la cresta risalgo ed infine eccomi ai Laghi Gelati. Sono tre, nemmeno male. E alle loro spalle, la massa piramidale del Monte Marzo. Dovrebbero essere poco più di 200 metri di dislivello. Me ne frego di che ora è. So che è sbagliato, ma il sole è ancora alto nel cielo e… Davvero non vorrei dover rinunciare ancora. Ce provo!

La salita alla cima va liscia, certo faccio fatica a mettere un piede davanti all’altro a quasi 2700 dopo tutta la sfacchinata che ho fatto. Ma finalmente la strada è indicata (ometti, poi vernice a poche decine di metri dalla cima) e… L’emozione è indescrivibile quando spunto sulla cresta e devo fare quegli ultimi 10, 15 passi per arrivare all’ometto di cima e alla croce. Vedo sotto di me le tre valli che si congiungono, la cresta è sottile, un po’ da vertigine… Me ne frego. Guardo bene dove metto i piedi, e finalmente ci sono. Il paesaggio è a 360 gradi, da una parte il Canavese, dall’altra la Valle d’Aosta, dove troneggiamo come al solito Rosa e Cervino. Guardo finalmente l’orologio (che poi è il cellulare con la batteria a terra): ore 3:30 circa.

Poche foto ricordo, lascio un bigliettino ai piedi della Croce, e inizio la ridiscesa. Comunque è una soddisfazione incredibile!

Tutto va bene fin dove il sentiero è segnalato, cioè poco oltre i Laghi Ghiacciati. Lì c’è un maxi omino e poi niente più. Ovviamente vorrei scendere dal sentiero dal quale avrei dovuto salire se non avessi sbagliato strada: rifare il traverso fino al Colle Fricolla è fuori questione. Non vedo nessuna traccia, che posso fare? Mi avventuro cercando di seguire un percorso dove la pendenza del terreno sia la più dolce possibile. E’ più facile a dirsi che a farsi, devo salire in alto, capire dove è facile andare, andarci, poi ripetere il tutto. Punto un bel pianoro con fiumi essiccati, ottimo per il pascolo delle vacche. La strada deve per forza passare da lì!

Invece, arrivato al pianoro, ancora nessuna traccia della strada. E scendere da lì non è così facile: è ripido, ci sono gole… Guardo alla mia destra e, in mancanza di meglio, l’unica via che vedo è quella da cui son salito, sul versante opposto della valle. Traversare ora vuol dire non più sfasciume ma pendii in moderata pendenza con rododendri ed altra erba. Le creste che avevo attraversato ci son sempre, anche se più dolci, ma ci scorrono dentro ruscelli che si son scavati il loro alveo. Il punto più brutto è quando sono costretto ad arrampicare per uscire dalla gola scavata dal torrente. Cercherei una strada più semplice, è da ore che vado avanti a cercar la strada più semplice, ma stavolta non c’è altro modo.

Risalgo la gola e finalmente vedo in lontananza quel che sembra un sentiero. E’ proprio lui, con tanto di cippi indicatori. Devo scendere, passar sotto una cascata, poi risalire. Se ce la faccio è fatta! E ce la faccio… E’ lo stesso sentiero dell’andata. Tiro un bel respiro di sollievo. Sono le cinque di sera.

Scendo, incontro due cavalli bradi che mangiano erba proprio sul sentiero e mi guardano sospettosi, attraverso un pascolo pieno di mucche con i cani del margaro che mi puntano – per fortuna lui mi vede e li richiama – poi scendo, mentre la valle si copre d’ombra. La discesa è come al solito interminabile e devasta piedi e gionocchia… Ma finalmente alle 19,00 circa sono di nuovo alla macchina e posso scendere con calma verso Ivrea.

Questa la cronaca della mia avventura di oggi; ho preso dei rischi, abbastanza calcolati, ma nel complesso è stata una delle mie uscite più massacranti di sempre. Penso di aver camminato per circa 30 km, al dislivello “ordinario” di 1500 ne avrò aggiunti di sicuro grazie ai saliscendi nei traversi, da solo, fuori pista per un bel po’… Insomma, davvero impegnativo. Solo la forza di volontà ed un po’ di preparazione mi hanno impedito di desistere. Ci sono molte recensioni per questa gita ma davvero, come l’ho fatta io me la ricorderò per sempre… E adesso che ho archiviato la vetta, per un po’ da quelle parti il Monte Marzo non mi vedrà più.

Con massimo rispetto per la montagna, mai da sottovalutare…

Percorso fatto… Più o meno

One thought on “La conquista del Monte Marzo

  1. Noi siamo andati da traverse la un pomeriggio per arriva ré al rifugio il giorno seguente siamo arrivait alla croche verso mezzo giorno avevamo con noi due bamine Mia consort mai visto montagne il giorno seguente avevamo male allé ossa
    Bel ricordo del 1958

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